Vorrei parlare di vulnerabilità e coraggio e, in particolare, del coraggio di mostrarci vulnerabili, traendo in gran parte lezione e ispirazione da un video di Brenè Brown su cui mi sono imbattuta per caso “the call to courage”.
La Brown illustra bene che tra le prime lezioni della vita, salvo le dovute eccezioni, c’è spesso quella di non mostrarci vulnerabili. È facile sentire pronunciare ai bambini, fin da piccoli, frasi del tipo “non fare il piagnone” o “i bambini cattivi urlano in questo modo”. È così che la nostra cultura promuove un modello di integrazione che, come dice la Brown, è spesso il contrario dell’autenticità.
Quasi mai si aiutano i bambini a vivere nel profondo le loro emozioni e a diventarne consapevoli, cogliendone così il significato nascosto. Così, chi è spesso ben integrato nella nostra cultura, sa sacrificare ciò che sente a vantaggio di ciò che è funzionale per andare avanti.
È questo il motivo per cui le persone autentiche risultano spesso scomode: dando importanza al loro vissuto profondo, incluse emozioni negative, sanno esporsi anche al rischio di non essere capite o derise. Queste persone suscitano di solito uno strano effetto, un misto di stima e paura, poiché essendo in grado di esporsi al giudizio, hanno il coraggio di essere vulnerabili.
La Brown sottolinea come sentirci visti sia la cosa più importante della nostra vita, ma che non possiamo essere compresi in profondità, fino a che non abbiamo il coraggio di mostrare le nostre emozioni e pensieri più veri e quindi, di mostrarci vulnerabili. Sappiamo infatti che esporci significa rischiare di essere attaccati o giudicati.
Spesso questo avviene anche senza prendere particolare posizione. È notizia di tutti i giorni che ragazzi si uccidano in reazione a tali attacchi gratuiti sul web. Se però si è insegnato loro il coraggio di provare emozioni, non si vergogneranno del loro vissuto. Che sia esso di vergogna, rabbia, tristezza o paura.
I giovani spesso ci mettono in contatto con la nostra vulnerabilità perché, non avendo ancora imparato bene a nasconderla, sono più coraggiosi di noi nel mostrarla. La nostra stessa vulnerabilità sarebbe il cammino per incontrarli, ma spesso abbiamo paura di intraprenderlo. Essere chi siamo è rischioso, perché ci espone alle critiche.
Così come dire “ti amo” a qualcuno, sapendo che può finire, o prendere decisioni importanti, perché ci espone al rischio del fallimento. In tal senso la Brown è molto brava a mettere in luce in quanti modi possiamo sentirci vulnerabili.
Se penso ai giovani di oggi – e questa è una mia suggestione – credo che mai come in questo tempo i giovani abbiano a disposizione pochi validi esempi di tale coraggio. Forse per questo essi stanno cercando di dare una lezione a noi adulti su che cosa significhi e quanto sia importante mostrarci vulnerabili.
Come Greta Thunberg, che parla al mondo della fragilità di un pianeta da preservare e amare, o Bebe Vio che fin da giovanissima ha fatto della sua vulnerabilità un modello di come non arrendersi alla malattia o il ragazzo quindicenne che ha affrontato da solo casa Pound.
Davanti alla forza di questi ragazzi, io mi inchino e mi chiedo quanti di noi non abbiano da imparare da loro, su quello che mi piace chiamare “il coraggio della vulnerabilità”.
[Articolo pubblicato nella rivista dell’ANAP]
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