Scoprirsi generosi
La gamma delle possibilità è vasta: tra chi soffre per malattie, chi per essere stato colpito da calamità naturali e chi, purtroppo sempre più di frequente, non riesce a vivere del proprio lavoro.
A Natale, talvolta più per tradizione, ci concediamo di essere un po’ più altruisti, spesso non sapendo che così ci stiamo occupando anche di noi stessi.
Il bisogno di occuparci dei più bisognosi, sembra un gioco di parole, è in realtà un qualcosa che ha radici molto profonde dentro di noi, basti pensare alla decima dei tempi antichi.
Donare cose o donare un po’ di se stessi?
Il motivo però per cui donare faccia così bene a chi dona, oltre che a chi riceve, è in effetti misterioso e risulta anzi incomprensibile nella logica capitalistica secondo cui, a fronte dei nostri soldi o del nostro tempo, siamo abituati ad aspettarci un corrispettivo.
Donare soldi in effetti è importante quando possibile, ma molto più benefico, anche se più faticoso, sarebbe donare se stessi, il proprio tempo, il proprio pensiero, le proprie energie.
Un conto è donare comodamente da casa via sms o carta di credito, un conto è regalare un po’ di noi.
Cominciare dai più vicini
Per chi abbia avuto l’ardire di continuare a leggere senza lasciarsi scoraggiare da un così alto intento, è facile immaginare come questo restringa il raggio d’azione a quelli a noi vicini.
Che sia il barbone sotto casa, di cui spesso non sappiamo neppure il nome. Che sia il figlio del vicino che ha perso il lavoro e che forse non troverà regali sotto l’albero, che sia nostra madre che aspetta tutto l’anno il natale per poter vedere la sua famiglia almeno riunita, se non unita.
Puntuali arrivano allora le resistenze: ma il barbone può essere anche pericoloso e i vicini forse si potrebbero offendere e mia madre poi! Lo so io perché a Natale non mi va di rivedere i parenti!
Magari resistenze sensate, ma che ci fanno restare dentro il nostro recinto.
Uscire dalla logica dell’aspettativa
Dare qualcosa di sé a qualcuno e farlo in modo gratuito in effetti è faticoso, anzi faticosissimo, ma rappresenta la via d’uscita non solo dal recinto ma dalla logica dell’aspettativa che, per un motivo o per l’altro, ci rende un po’ tutti scontenti. Ma c’è di più.
Allargare i nostri orizzonti ci consente di dimenticare per un attimo i nostri problemi e le nostre fatiche. Se metto l’altro al centro, ciò che mi fa male di me andrà per un po’ sullo sfondo.
Una sorta di piccola vacanza da se stessi, non male se si considera che talvolta possiamo essere i nostri peggiori nemici.
Rispecchiarsi negli altri
Donare significa infine potermi specchiare nei tuoi occhi e vedermi migliore. Avete mai provato a chiedere il nome a chi vive in strada? Sono quasi sempre felici di questo piccolo gesto che restituisce loro una identità spesso perduta.
E che dire di come potrebbero essere gli occhi del figlio del vicino che si trova il giorno di natale un pacco fuori della porta con su scritto “da babbo natale”, quando babbo natale siete voi.
Infine, come potrebbero diventare gli occhi di vostra madre che, anche se solo per un giorno, ha potuto vedere la sua famiglia riunita. Non si tratta di far finta di, così tanto nocivo fuori dalle scene, ma di donare qualcosa a qualcuno.
Donare e perdonare
Posso donare un nome a chi sembra averlo perduto, un regalo a chi non può permetterselo e, infine, a mia madre – e a me stesso – un natale senza contrasti, magari mordendomi la lingua pur di non rispondere alle provocazioni.
Oppure posso perdonare davvero chi non ce la fa ad essere diverso da come vorrei: Il per-dono è in effetti il dono più grande e difficile da regalare, sebbene i benefici siano certi. Provare per credere.
Letizia Cingolani
(Articolo pubblicato in Rivista dell’ANAP)