Il concetto di mindfulness affonda le sue radici nelle pratiche contemplative buddiste e si sviluppa come pratica di attenzione, momento per momento, ad ogni nostro vissuto.
In ambito clinico, Jon kabat Zinn definisce la mindfulness in modo laico e la inserisce in veri e propri protocolli contro lo stress. Con mindfulness si intende così non solo la capacità di prestare attenzione non giudicante a ciò che viviamo momento per momento, ma anche la pratica attraverso cui si esercita tale capacità.
Questa attitudine diventa particolarmente importante in tempi in cui l’iper-connessione e i ritmi frenetici di tutti i giorni ci stimolano alla continua prestazione e ad un iper utilizzo della mente razionale, spesso impegnandola in un faticoso multitasking, circostanza che porta a sua volta ad una dispersione di concentrazione ed energia.
Sappiamo con evidenza scientifica che questa modalità di funzionamento genera uno stress che, se protratto nel tempo senza che ci siano momenti di recupero e di rigenerazione, porta non solo ad un senso di affaticamento e di infelicità, ma a vere e proprie malattie.
In condizioni di stress prolungato il nostro organismo attiva, infatti, uno stato di allerta continua che si accompagna alla mobilitazione degli ormoni dello stress e allo squilibrio del sistema immunitario e cardiovascolare. Per questo tali protocolli vengono sempre più applicati in ambito medico oltre che psicoterapico, educativo e sportivo.
Attraverso il respiro calmo e consapevole le persone diventano in grado di connettersi sempre più col loro corpo, alle sensazioni e ai vissuti profondi. Questo apre la strada alla conoscenza emotiva e, in particolare, alla conoscenza dell’intelligenza del cuore attraverso cui riusciamo ad accedere alla modalità dell’essere più che del fare.
All’inizio è molto difficile avventurarsi in una simile pratica perché la mente è abituata ad avere il predominio e a correre veloce ricordandoci le continue cose da fare, tanto che la sensazione comune all’inizio di tale pratica è di essere infastiditi da un simile rallentamento.
Siamo abituati a vivere col pilota automatico delle mille cose da fare e a muoverci sulla base del programma quotidiano strutturato dalla mente che è quasi sempre una ripetizione di quanto vissuto il giorno prima. In questo modo ci programmiamo a vivere secondo il passato e non c’è spazio per un agire consapevole che tenga conto anche delle nostre intenzioni più profonde.
La mente è impegnata ad analizzare ricordi e pianificare il futuro sulla base di quei ricordi, spesso spiacevoli, impostando così la vita sulla base di pensieri ed emozioni negative, come il risentimento, la paura o la sfiducia. La mindfulness ci insegna invece a lasciare andare il passato e a percepire profondamente quel che accade nel presente, permettendoci così di aprirci a un nuovo futuro.
La mindfulness ci insegna a considerare i nostri pensieri in quanto tali, a non identificarci con essi, motivo per cui se insorgono durante la pratica associandosi a sensazioni negative, andranno semplicemente osservati in attesa che passino, come le sfilate di un corteo di piazza.
La mindfulness ci insegna che anche le emozioni, se osservate senza identificarsi con esse, passano e si trasformano. La mente tende a evitare emozioni che consideriamo spiacevoli, mentre la mindfulness promuove l’ascolto senza giudizio delle nostre emozioni, considerandole come messaggeri venuti a dirci qualcosa di importante su noi.
In questa prospettiva, se diventiamo in grado di ascoltarci e di accoglierci profondamente e senza giudizio, questo cambierà la nostra relazione con noi stessi e con gli altri. Ci vorremmo più bene, ci sentiremo più calmi e consapevoli e meno inclini al giudizio e al voler controllare quello che accade dentro di noi e negli altri.
Potremo così diventare grati della vita che scorre dentro e predisporci a percepire la pace e la gioia che possono essere sentite solo nel pieno contatto col momento presente.
(Pubblicato nella rivista “Persona e Società” – ANAP)