Il cibo o il boccone che non ci va giù? La cena è da sempre il modo per approfondire il rapporto con qualcuno, sia nel caso delle amicizie, che dell’intimità e del lavoro.
L’importanza di mangiare con chi ci piace
Non è a caso la formula dei pranzi di lavoro, nati proprio allo scopo di creare maggiore coesione e legame in ambito lavorativo.
Talvolta a questi pranzi e cene, proprio perché di lavoro, aderiamo nostro malgrado al di là del piacere di farlo.
Istintivamente invece amiamo scegliere con chi mangiare, proprio perché nell’atto del mangiare con qualcuno si ha, talvolta, la sensazione di ingerire insieme al cibo anche l’altra persona.
Sentiamo dire talvolta: quella persona non la digerisco proprio o non mi va giù. Queste espressioni non sono usate a caso ma, sono frutto di una intelligenza somatica, un modo di dirci le cose che, a spiegarle razionalmente paiono assurde.
Non è quindi un case che, a differenza delle cene di lavoro, non si ritorni mai a cenare insieme con persone con cui per qualche motivo non siamo stati bene.
Mangiare con chi? Sintomi fisici
Non è neppure un caso che questo non star bene si traduca in sintomi fisici. Lo sanno bene i gastroenterologi più illuminati, sempre più propensi a ricercare nel vissuto emotivo dei loro pazienti l’origine di gran parte dei loro disturbi.
Quando i miei pazienti mi raccontano di indigestioni o disturbi digestivi la prima cosa che chiedo è con chi abbiano cenato ultimamente e, molto frequentemente,
vengo a scoprire che questi disturbi sono scaturiti proprio a seguito di cene per qualche motivo sgradevoli, magari perché teatro di discussioni e dissidi.
Questo è molto frequente sotto il periodo natalizio, per esempio, in cui ci si ritrova talvolta a cenare con parenti semi sconosciuti, che magari si disinteressano di noi per tutto l’anno, ma con cui ceniamo ugualmente per buona pace di tutti.
L’atto simbolico del cenare con qualcuno
Ma cenare con qualcuno non è un atto come un altro. È un atto di profonda condivisione e comunione e quando questa comunione non c’è, ma magari ci sono all’opposto dissapori e sospesi, il disturbo spesso si somatizza.
Nel senso che il nostro corpo deve fare quella fatica di digerire tutta la sgradevolezza di cui a volte non siamo o non ci rendiamo consapevoli.
Ricordo di un paziente che veniva con regolarità il lunedì da me e che presentava costantemente disturbi digestivi che però rientravano nell’arco della giornata.
In una prima fase ho pensato che fosse la seduta del lunedì a far sparire i disturbi, salvo poi accorgermi che gli unici lunedì in cui la persona in questione non aveva disturbi erano quei lunedì in cui non era andato a pranzo dalla suocera il giorno prima.
Questa donna era percepita in modo invadente e critico ma non vi era alcuna consapevolezza tra il disturbo somatico e questa percezione negativa.
Il corpo non mente
Il lavoro dello psicoterapeuta diventa quindi un semplice lavoro di ponte, tra quello che la persona si chiede e quello che il corpo sa già.
Prendere coscienza e consapevolezza delle proprie emozioni, porta così a liberare il corpo dalla funzione di delega di ciò che a noi non piace sapere o di cui non vogliamo e riusciamo ad accorgerci.
Buone notizie, quindi, la soluzione di quest’uomo non è stata separarsi per cambiare suocera, ma semplicemente diventare consapevole dei propri vissuti così da prendere dalla persona ritenuta indigesta il giusto distacco nel momento in cui assorbiva e incamerava cibo.
Nel caso della suocera è stato difficile evitare che si riproponesse l’occasione di mangiare insieme ma nel caso in cui il corpo dovesse avvertirvi che qualcuno, oltre il capo e la suocera, non vi va giù, francamente il mio consiglio è semplicemente di ascoltarvi ed evitare.
Letizia Cingolani
(Articolo pubblicato in Rivista dell’ANAP)